Reddito di cittadinanza 2019

Reddito di cittadinanza 2019

La misura introdotta nella Legge di Bilancio 2019, è il sussidio in denaro per coloro che sono residenti in Italia da almeno 10 anni e questo a prescindere dal fatto che abbiano un reddito o meno.

La previsione normativa ha il duplice scopo di rilanciare l’economia con gli sgravi sul costo del lavoro per le imprese che assumono cittadini beneficiari del reddito di cittadinanza.

Il secondo grande obiettivo nel welfare, è quello di livellare il reddito medio della popolazione ad € 9.360,00 annui, per chi non ha immobili.

Il sito che risponde al seguente indirizzo: https://www.redditodicittadinanza.gov.it/ è disponibile per dare tutte le informazioni di supporto ai cittadini.

Sono grandi quindi le aspettative dalla importante innovazione.

Reddito di cittadinanza 2019: cos’è e come funziona

A differenza degli altri ammortizzatori sociali quali la disoccupazione, per i quali la condizione imprescindibile è quella di non avere un lavoro, il reddito di cittadinanza ha a che fare con la soglia di povertà certificata dall’ISEE.

Pertanto, anche chi ha un impiego o è già in pensione ma ha il reddito molto basso sotto i 780 euro mensili può richiedere il Reddito di Cittadinanza.

Ha infatti diritto al reddito di cittadinanza:

  • chi possiede un reddito al di sotto dei 780 mensili ed è da solo in famiglia quindi il nucleo familiare è composto da una sola persona.
  • chi è in una famiglia con un numero di componenti maggiore di uno, in questo caso il reddito di riferimento viene moltiplicato per la scala di equivalenza.
  • avere più di 18 anni quindi essere maggiorenne;
  • essere in possesso della cittadinanza italiana o di paesi dell’Unione Europea o suo familiare titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o proveniente dai Paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale, o cittadini di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per lunghi periodi;
  • essere residenti in Italia da almeno 10 anni;
  • avere un reddito da lavoro inferiore a quanto previsto dalla soglia di povertà;
  • percepire una pensione al di sotto della soglia di povertà;
  • avere un patrimonio immobiliare, eccezione fatta per la prima casa, che non superi i 30mila euro;
  • non avere depositi in conto correnti, obbligazioni o azioni per un valore superiore ai 6mila euro. La somma é aumenta di 2 mila euro per ogni componente della famiglia, se tra essi vi fosse un disabile l’aumento arriva a 5mila euro.
  • se una famiglia abita in una casa locata, il reddito da cui poter partire, come nucleo familiare per la richiesta del reddito di cittadinanza è di 9.360 euro.

Il reddito comunque secondo l’indicatore ISEE non deve superare i 9.360,00 euro annui.

Che scende ad euro 7.560,00 nel caso di residenza in casa di proprietà.

Come fare domanda

Tra i documenti utili alla compilazione della domanda c’è il proprio ISEE il modello che scade a gennaio di ogni anno, bisogna accertarsi di essere in possesso di un conteggio ISEE valido ed aggiornato.

Le domande possono essere inoltrate, a partire dal 6 marzo 2019:

  • online attraverso il sito dedicato al Reddito di Cittadinanza;
  • tramite gli uffici postali;
  • tramite CAF;
  • tramite gli Studi Professionali dei Dottori Commercialisti che offrono il servizio gratis;
  • tramite gli Studi professionali dei Consulenti del Lavoro che offrono il servizio gratis.

Successivamente l’invio della domanda L’INPS verifica il possesso dei requisiti. Dopo l’accettazione, entro 30 giorni, il beneficiario verrà contattato dai Centri per l’impiego per individuare il percorso di formazione propedeutico al reinserimento lavorativo più congeniale e da attuare attraverso la figura di riferimento di ciascun richiedente del reddito di cittadinanza il tanto discusso Navigator.

Come viene erogato il reddito di cittadinanza

Luigi DI MAIO, ha presentato alla stampa la prima card, ed ha informato che da aprile saranno emesse le prime carte destinate alla distribuzione prepagate delle Poste, la card che abbiamo visto è simile a un bancomat ed è dotata di chip elettronico, già battezzata la Carta RdC.

Sarà utile per pagare bollette, affitti, mutuo e per acquistare beni di prima necessità.

Sarà possibile effettuare prelievi in contante per un massimo di 100,00 euro al mese per singola card, se per un nucleo familiare sarà moltiplicato per la scala di equivalenza.

Le movimentazioni sono disponibili grazie alle piattaforme informatiche dedicate proprio al reddito di cittadinanza del “Sistema informativo unitario dei servizi sociali”.

Entro 30 giorni dal riconoscimento del reddito è necessario spendere il reddito, pena il decurtamento del 20% sull’importo del mese successivo. Ad esempio il reddito di cittadinanza di aprile va speso entro maggio.

C’è anche chi non ha diritto

Oltre a chi non rispetta il mantenimento dei requisiti sopra, non hanno diritto al reddito di cittadinanza:

  • le persone che si trovano in carcere, dal momento di accesso e per tutta la durata della pena;
  • chi è ricoverato in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a carico dello Stato o di altra amministrazione pubblica;
  • i nuclei familiari in cui tra i componenti c’è una o più persone disoccupate a seguito di dimissioni volontarie nei 12 mesi successivi alla data delle dimissioni, eccezion fatta per le dimissioni per giusta causa.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza

sappiamo che il massimo previsto è di 780,00 euro al mese per chi non ha un lavoro ed è senza reddito.

Chi ha un reddito, invece, ma è comunque al di sotto della soglia di povertà, avrà diritto al reddito di cittadinanza, sino alla soglia dei 780,00 euro previsti.

Va tenuto conto però del nucleo familiare:

  • infatti se la famiglia in realtà è un solo componente: il massimo ottenibile, come integrazione, è pari a 6.000,00 euro l’anno, ossia 500,00 euro al mese, attenzione la quota varia per la pensione di cittadinanza;
  • se invece la famiglia ha più componenti: il massimo ottenibile è di 1.050,00 euro al mese ossia 12.600,00 euro all’anno.

Inoltre c’è una seconda componente del Reddito di Cittadinanza che varia tenendo conto della disponibilità della residenza abituale. Affitto da pagare o mutuo:

  • chi ha un affitto da pagare, può avere una integrazione per il solo canone di locazione che è di 360,00 euro al mese, ossia 3.720,00 euro anni;
  • tale quota si dimezza per chi ha una pensione di cittadinanza;
  • in caso di mutuo, il massimo previsto è di 150.00 euro al mese, ossia 1.800,00 euro all’anno,
  • se il contratto di mutuo o di locazione è a nome di uno dei componenti del nucleo familiare.

La durata

Se si hanno tutti i requisiti si può ottenere il reddito di cittadinanza per un massimo 18 mesi, con possibilità di rinnovo e, in tal caso, con sospensione per un mese.

Il reddito di cittadinanza è legato anche ai patti di inclusione e lavoro, pertanto se i centri per l’impiego, così come vorrebbe il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, saranno rafforzati, nel periodo in cui si ottiene il sussidio, potrebbero arrivare delle offerte di lavoro che possono essere rifiutate al massimo 2 volte.

La prima potrà essere indicata nell’ambito di 100 km la seconda 250 km dalla residenza del beneficiario.

Inoltre, qualsiasi variazione della condizione occupazionale di uno o più componenti della famiglia deve essere comunicata all’INPS entro 30 giorni, altrimenti il beneficio decade.

A buon intenditore

Chiunque presenti dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere oppure ometta informazioni dovute è punito con la reclusione da due a sei anni.

È prevista, la reclusione da uno a tre anni nei casi in cui si ometta la comunicazione all’ente erogatore delle variazioni di reddito o di patrimonio, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio.

In entrambi i casi, è prevista la decadenza dal beneficio con efficacia retroattiva e la restituzione di quanto indebitamente percepito.
Se l’interruzione della fruizione del Reddito di cittadinanza avviene per ragioni diverse dall’applicazione di sanzioni, il beneficio può essere richiesto nuovamente per una durata complessiva non superiore al periodo dei 18 mesi residuo e non goduto.

Nel caso l’interruzione sia motivata dal maggior reddito derivato da una modificata condizione occupazionale e sia decorso almeno un anno nella nuova condizione, l’eventuale successiva richiesta del beneficio equivale a prima richiesta.


Per qualsiasi dubbio o necessità, ricordiamo che la consulenza via internet è totalmente gratuita basta compilare la form che segue, anche per semplici informazioni.


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Avvocati: Requisiti per rimanere iscritti

Avvocati: Requisiti per rimanere iscritti all’Albo

Concluso l’iter parlamentare con il parere favorevole delle commissioni, manca solo il testo finale del ministero e la pubblicazione in gazzetta.

 
L’iter del regolamento sull’esercizio della professione forense ha incassato il sì della commissione Bilancio, il 1 ottobre scorso, con rilievi relativi a questioni di copertura finanziaria, oggetto di rassicurazioni da parte del Governo, la commissione giustizia ha rilasciato parere favorevole allo schema di decreto ministeriale che ora si appresta a tornare sul tavolo del ministro della giustizia per l’elaborazione definitiva e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Si ricorda che, durante il suo iter, il regolamento ha già assistito alla soppressione, a seguito dei pareri espressi dal Consiglio nazionale forense e dal Consiglio di Stato, di due dei requisiti considerati essenziali per l’esercizio della professione:

  1. essere in regola con i pagamenti alla Cassa forense e
  2. essere in regola con i pagamenti al consiglio dell’ordine.

I sei requisiti ormai da considerare definitivi.

Dei quali chi vuole continuare ad esercitare il mestiere di avvocato dovrà necessariamente possedere contemporaneamente, fatta eccezione per i giovani legali iscritti all’albo da meno di cinque anni, per dimostrare l’esercizio “effettivo, continuativo, abituale e prevalente” della professione di avvocato se patrocinante:

– essere titolare di una partita Iva attiva o far parte di una società o associazione professionale che sia titolare di partita Iva attiva;

– avere l’uso di locali e di almeno un’utenza telefonica, destinati allo svolgimento dell’attività professionale, anche in associazione professionale, società o associazione di studio con altri colleghi, o anche presso altro avvocato ovvero in condivisione con altri avvocati;

– aver trattato almeno cinque affari l’anno (sia attività giudiziale che stragiudiziale), anche se l’incarico è stato conferito da altro professionista;

– essere titolare di un indirizzo di posta elettronica certificata, comunicato al consiglio dell’ordine;

– aver assolto gli obblighi di aggiornamento professionale;

– aver stipulato una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione.

Dalla Camera, anche l’ok, con rilievi.

Al decreto attuativo per lo svolgimento dell’esame di Stato mentre è ancora in corso l’esame sullo schema riguardante il tirocinio forense.

Attendiamo la pubblicazione in gazzetta per la valutazioni finali o definitive.

Per qualsiasi dubbio o necessità anche interpretativa vi ricordiamo che la consulenza via internet è totalmente gratuita v’invitiamo quindi a compilare la form che segue.


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La fattura elettronica e i servizi gratuiti dell’Agenzia delle Entrate

La fattura elettronica e i servizi gratuiti dell’Agenzia delle Entrate

Dal 1° gennaio la fattura elettronica diventa obbligatoria

abbiamo la soluzione; Semplice ed a prova di errore.

L’Agenzia delle Entrate, ha diffuso le linee giuda per rispettare correttamente le indicazioni della Legge di Bilancio 2018.
Le linee guida dell’Agenzia delle Entrate per la fattura elettronica inoltre ci informano come sarebbe possibile rispettare la legge senza spendere niente.
Il processo indicato oltre che completo ove dovesse risultare complicato valutate  il nostro Servizio “Fatturazione Elettronica” tramite il WEB (invio e ricezione con codice univoco o PEC) verso i Privati, le Aziende ed i Professionisti e la Pubblica Amministrazione / Enti Pubblici e Privati, produce documenti informatici conformi allo standard XML 1.2 in vigore già dal 1 gennaio 2017, il servizio completa con la conservazione elettronica a norma.

Anche nella forma “ASSISTITA” Facciamo Tutto Noi  da remote. ( compilare, firmare, spedire e controllare gli esiti)

Il nuovo portale Web è stato sviluppato per consentire di creare, trasmettere , ricevere e archiviare le Fatture Elettroniche nel formato conforme alle specifiche dell’Agenzia delle Entrate (XML) e rendere indipendenti le Aziende ed i Professionisti rispetto al nuovo obbligo procedurale che decorre dal 1 gennaio 2019. In qualità di “intermediari” accreditati dall’Agenzia possiamo assegnare i “codici univoci” per ricevere le fatture dei Vostri fornitori direttamente consultabili con un click dall’apposita funzione.

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Acquistare casa pagando rate d’affitto

Acquistare casa pagando rate d’affitto spunti sul regime fiscale da applicare

Acquistare casa pagando rate d’affitto spunti sul regime fiscale da applicare

http://www.renttobuyconsulting.it/Il-NOTAIO-lultimo-anello-della-vendita-Rent-to-Buy-La-trascrizione-del-contratto/

Il rent to buy e l’opzione per l’imponibilità Iva – Nel quadro della formula di
contrattazione del rent to buy, la circolare chiarisce che i canoni di locazione versati per
il godimento di un fabbricato abitativo rientrano tra le operazioni esenti da Iva, salvo
l’ipotesi in cui il concedente sia un’impresa di costruzione o di ripristino e opti per il
regime di imponibilità Iva. Lo stesso regime di esenzione si applica anche ai canoni
versati per la locazione di fabbricati strumentali, con la possibilità di optare per il
regime di imponibilità da parte di tutti i soggetti passivi e non solo per le imprese di
costruzione e di ripristino.
Aliquote Iva e imposta di registro per il proprietario/concedente in regime di
impresa – In dettaglio, nei casi in cui l’operazione sia imponibile ai fini dell’Iva, le
aliquote applicabili alla quota di canone pagata come acconto per la successiva
acquisizione dell’immobile sono le seguenti: aliquota ridotta del 4% se il futuro
acquirente dichiara di poter beneficiare dei requisiti “prima casa” e se si tratta di case
classificate nelle categorie catastali diverse da A/1, A/8 e A/9; aliquota ridotta del 10%,
se si tratta di case di abitazione che hanno la medesima classificazione catastale di
quelle che possono fruire dell’agevolazione “prima casa”; aliquota del 22% per gli
immobili classificabili nella categorie catastali A/1, A/8 e A/9 e per gli immobili
strumentali. Riguardo l’imposta di registro, la misura è determinata in base al regime
Iva applicabile. Per gli acconti prezzo soggetti ad Iva, l’imposta di registro è dovuta
nella misura fissa di 200 euro. Per quanto attiene, invece alla quota di canone
corrisposta quale acconto-pezzo, per gli immobili abitativi esenti Iva si applica
l’imposta di registro con aliquota del 2%, mentre se è imponibile Iva, perché il
concedente, cioè il potenziale venditore, ha espresso tale opzione, l’imposta di registro è
dovuta in misura fissa (67 euro se il contratto è stipulato per scrittura privata, 200 euro
se formato per scrittura privata autenticata o è redatto in forma pubblica). Per gli
immobili strumentali, in deroga al principio di alternatività Iva/Registro, l’imposta di
registro è applicata in misura proporzionale (1%), indipendentemente dal regime Iva di
imponibilità o di esenzione cui l’operazione è soggetta.
Se il proprietario/concedente non opera in regime d’impresa – Se il venditore non è
un imprenditore ma un soggetto Irpef, sulla quota percepita del canone per la
concessione in godimento, cioè per l’affitto, è applicata la disciplina fiscale dei redditi
fondiari, mentre la misura dell’imposta di registro è proporzionale ed è pari al 2%, sia
per gli immobili strumentali che abitativi. Comunque, è utile ricordare che, ove
ricorrano i presupposti, per i soggetti Irpef è aperta la chance di optare per il regime
della “cedolare secca”.
Imposte dirette, Iva e registro all’atto del trasferimento dell’immobile – Per il
proprietario in regime d’impresa si rileverà, al momento del trasferimento di proprietà
dell’immobile, un incremento del reddito pari alla differenza tra il prezzo di cessione, al
lordo degli acconti, e il costo fiscale dell’immobile. Ai fini Iva, invece, la base
imponibile su cui applicare l’imposta sarà data dal prezzo della cessione al netto dei soli
acconti sulla vendita pagati fino a quel momento dal nuovo proprietario, cioè dall’exaffittuario,
esclusi quindi quelli versati per il mero godimento dell’immobile. Riguardo
le imposte di registro, ipotecaria e catastale, ai trasferimenti dei fabbricati strumentali
rilevanti ai fini Iva (in regime di esenzione o imponibilità) si applica l’imposta di
registro fissa di 200 euro e le imposte ipotecaria e catastale in misura rispettivamente
pari all’1% e al 3%. Per i fabbricati abitativi in esenzione Iva l’imposta di registro è
dovuta nella misura proporzionale del 9% o del 2%, con un minimo 1.000 euro, mentre
le imposte ipotecaria e catastale sono in misura fissa pari a 50 euro ciascuna; se, invece,
il trasferimento del fabbricato abitativo è imponibile Iva, per il principio di alternatività
tra Iva e Registro, l’imposta di registro è fissa (200 euro) così come le imposte
ipotecaria e catastale (sempre nella misura di 200 euro ciascuna).
Se il proprietario/concedente non agisce in regime di impresa – In questo caso, il
corrispettivo del trasferimento dell’immobile è tassato come una plusvalenza realizzata
mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili, se la cessione interviene entro
cinque anni dall’acquisto. Le quote di canone incassate come acconto-prezzo saranno
assoggettate alla disciplina dei redditi diversi e diventeranno imponibili al momento
della cessione effettiva dell’immobile. Per le cessioni fuori campo Iva, prima casa e
altro, l’imposta di registro sarà del 2% nel primo caso e del 9% nel secondo, mentre
quella ipotecaria e catastale saranno versate in misura fissa di 50 euro in entrambi i casi.

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La Trasmissione Telematica dei corrispettivi è un OBBLIGO

La Trasmissione Telematica dei corrispettivi è un OBBLIGO

L’Agenzia delle Entrate ad agosto 2018 ha aggiornato le specifiche tecniche per l’Invio telematico delle fatture e dei corrispettivi

 
Il DECRETO LEGISLATIVO 5 agosto 2015, n. 127 ha indicato le nuove specifiche per l’invio telematico delle fatture ma, sappiamo, anche dei corrispettivi elettronici.

Sino ad oggi a causa delle novità introdotte dal Decreto Legge 127/2015, non c’era chiarezza in merito alle disposizioni normative, alle procedure che regolano l’invio telematico dei corrispettivi e alle modifiche del sistema interno di gestione per le attività da prevedere nei punti vendita per adeguarsi, ormai la scadenza è prossima, infatti entro il 31/12/2018, scatta l’obbligo per le aziende che non hanno già aderito all’invio dei corrispettivi in modalità telematica.


Invio telematico corrispettivi

L’invio telematico dei corrispettivi al quale facciamo costante riferimento è quello previsto dal D.Lgs. 127/2015, nel quale sono inserite le disposizioni circa le modalità per l’invio dei corrispettivi a partire dall’ 1/1/2019.

Si tratta di una modalità elettronica di trasmissione all’Agenzia delle Entrate dei corrispettivi di ciascun punto vendita, tramite registratore telematico (se si è in possesso di meno di 3 punti cassa) o tramite server RT (se i punti cassa sono più di 3).

La situazione normativa attuale

Prima di introdurre le novità normative, riassumiamo la situazione attuale che prevede 2 modalità di dichiarazione dei corrispettivi al controllo fiscale.

Il Misuratore di cassa fiscale

Attualmente l’esercente utilizza il misuratore fiscale con al proprio interno un vero e proprio registro cronologico delle operazioni, il giornale fiscale, con tutte le transazioni registrate secondo una procedura tecnica definita.

Il punto vendita è tenuto a dichiarare la presenza stessa del misuratore con la data di avvio delle registrazioni e le eventuali rotture le riparazioni, la sua momentanea sostituzione o non uso, sono regolarmente supportati da mezzi tradizionali quali il libro per il mancato funzionamento del misuratore fiscale.

Sarà quindi comunicato anche l’eventuale spostamento o del misuratore o il cambio della ragione sociale del soggetto fiscale a lui riferito.

A proposito della manutenzione, una specifica certificazione abilita i tecnici agli interventi suio misuratori fiscali abilitati.

Il cosiddetto punzone fiscale che rappresenta una certificazione in possesso dell’impresa autorizzata ad intervenire, sostituire e vendere i misuratori fiscali abilitati ed omologati.

Questo tipo misuratore fiscale prevede un limite massimo di chiusure giornaliere che possono essere gestite.

La quantità di chiusure che riesce a contenere il misuratore determina il valore commerciale dello strumento fiscale, in quanto eviterebbe quella manutenzione annuale volta alla liberazione del buffer per conentire l’accumulo di nuove chiusure giornaliere, od alla sua sostituzione.

Regime di defiscalizzazione

Con l’introduzione del Decreto Bersani, convertito poi con la Legge n. 248 del 4 agosto 2006, è stata data la facoltà alla grande distribuzione “GDO/DO” con requisiti minimi in merito al n° di punti vendita con caratteristiche dimensionali ben definite, di entrare in regime di defiscalizzazione, in cambio dell’invio dei corrispettivi in modalità telematica, potendo così evitare l’uso dei registratori di cassa fiscali.

L’invio dei corrispettivi è stato introdotto con scadenza mensile e poi settimanale, in virtù di una migliore gestione delle situazioni anomale e di una definizione veloce delle procedure di rettifica.

L’obbligo per i rivenditore riguarda, in questo caso, la fornitura dei dati fiscali all’Agenzia delle Entrate secondo modalità e parametri prestabiliti e che tale dati corrispondano alle scritture contabili. L’obbligo non riguarda la scelta degli strumenti e la definizione delle procedure interne che possono essere individuate e sviluppate interamente dall’imprenditore.

I dati sono sempre inviati e suddivisi distinti per aliquota IVA.

Da qualche anno si è iniziato a parlare della normativa che ci occupa, con una prima scadenza prevista per il 31/12/2016, poi spostata al 31/12/2017 e oggi per il 31/12/2018 salvo le solite fastidiose e puerili proroghe dell’ultima ora.

dall’ 1/1/2019 ? sui corrispettivi elettronici!

I contenuti e i perimetri di definizione della normativa sono stati affinati.

L’articolo tiene in considerazione anche le ultime risposte fornite il sette agosto 2018 dalla Agenzia delle Entrate rispetto agli interpelli che si sono susseguiti da parte delle diverse associazioni di categoria.

Ecco di seguito gli obblighi normativi definiti dal Decreto Legislativo n. 127 del 5 agosto 2015.

Tutti coloro che si trovano in regime di defiscalizzazione, i quali non intendono tornare in regime fiscale ordinario, hanno l’obbligo di modificare il processo di invio telematico corrispettivi all’Agenzia delle Entrate.

E così viene specificato che sono previste 2 diverse modalità di trasmissione telematica dei corrispettivi:

  1. per chi possiede meno di 3 postazioni cassa per punto vendita e per
  2. chi ne ha più di 3.

Chi possiede meno di 3 postazioni per punto vendita è tenuto, per conformarsi alla normativa, a utilizzare il registratore telematico dotato di middleware, una componente in grado di dialogare direttamente con l’Agenzia delle Entrate e trasferire dati in tempo reale.

Tutti gli esercenti si dovranno dunque assumere l’onere di attivare un’infrastruttura che garantisca la connettività verso l’esterno del punto vendita.

Il registratore telematico, concepito proprio in compliance fiscale D.Lgs. n. 127/2015, ha già al suo interno il supporto necessario a gestire tutte le criticità e le eccezioni, a garanzia della continuità della trasmissione telematica dei dati.

Per chi ha più di 3 casse o registratori fiscali per punto vendita?

La normativa dispone che si dovrà installare un server RT, un concentratore, cioè lo strumento capace di raccogliere tutti i dati delle singole postazioni di cassa e di inviarli all’Agenzia delle Entrate.

Registratore di cassa telematico: cos’è e come funziona?

I registratori telematici sono strumenti che consentono di comunicare direttamente dalla cassa gli incassi giornalieri all’Agenzia delle Entrate, in via elettronica, tramite la procedura online di invio telematico corrispettivi.

Il D.Lgs 127/2015 consente a tutti i soggetti passivi IVA, per i quali non è obbligatoria l’emissione della fattura e che sono obbligati alla certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta fiscale o scontrino fiscale (art. 22 D.P.R. 633/72), di adottare il documento commerciale al posto dello scontrino e inviare i dati degli incassi in modalità telematica.

Gli imprenditori o commercianti dettaglianti hanno la possibilità di scegliere la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi all’Agenzia delle Entrate.

Per farlo devono dotare la loro attività di un registratore telematico, uno strumento che garantisca la sicurezza e l’inalterabilità dei dati inviati.

Chi si trova ad aprire una nuova attività oppure chi deve cambiare il registratore di cassa, dunque, scegliendo il registratore di cassa telematico avrà a disposizione un prodotto già assoggettato ai paramenti della nuova normativa fiscale.

Perché scegliere il registratore telematico?

Coloro che scelgono di dotarsi e di utilizzare per le comunicazioni registratori di cassa telematici sono esonerati dall’obbligo di tenuta del registro dei corrispettivi (imposto dall’Art. 24, primo comma, del D.P.R. 633 del 1972).

Il registratore telematico come abbiamo visto permette di memorizzare le transazioni e trasmettere i dati all’Agenzia delle Entrate tramite un qualsiasi collegamento alla rete internet.

I dati delle operazioni commerciali sono digitati nel punto vendita normalmente dove sarà effettuata la chiusura di cassa giornaliera: Da quel momento il nuovo misuratore fiscale oggi registratore di cassa informatico ordinerà i dati dei corrispettivi memorizzati, predisporrà e sigillerà elettronicamente il file che li conterrà e lo trasmetterà all’Agenzia delle Entrate in modo diretto autonomo e sicuro, garantendone l’autenticità e l’integrità.

Quali sono i vantaggi del registratore telematico rispetto al registratore di cassa?

Innanzitutto, un risparmio di costi dato dalla verificazione periodica che diventa obbligatoria ogni 2 anni anziché 1 come ora; inoltre, non serve conservare carta e il documento emesso al cliente che ha solo validità civile commerciale, come garanzia dell’acquisto.

Qualora l’esercente disponga anche di un distributore automatico nel punto vendita, anche i dati dei corrispettivi incassati per la gestione di quella macchina potranno essere memorizzati e inviati automaticamente.

Server RT: cosa sono e come funzionano?

Il server RT è un server di connessione Registratore Telematico Agenzia delle Entrate.

Questo strumento, la cui obbligatorietà come abbiamo visto è introdotta per i punti vendita con più di 3 casse fiscali dal D.Lgs. 127/2015 il quale salvo proroghe entrerà in vigore dal 1° gennaio 2019, permette di raccogliere i dati dei singoli punti cassa ordinarli sempre per aliquota IVA sigillarli in un unico file firmato e crittografato e di inviarlo in via telematica all’Agenzia delle Entrate.

Le specifiche tecniche prodotte dall’Agenzia delle Entrate in merito alla memorizzazione elettronica e alla trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri possono essere reperite a questo link.

Come valutare le proposte sul mercato

I punti vendita possono decidere di adottare il nuovo regime anche anticipatamente rispetto alla scadenza ultima del 31/12/2018 e avere tempo di ottimizzare le procedure affinando la conoscenza dei sistemi anche se non per l’attivazione di un server RT.

Per adeguarsi alla normativa sull’invio telematico dei corrispettivi i produttori si sono attivati per sviluppare e offrire la propria soluzione al mondo retail, GDO e della ristorazione.

La proposta offerta da Incista Spa è particolarmente innovativa dal punto di vista dell’architettura hardware e software, introduce degli elementi unici per andare incontro alle esigenze di ogni punto vendita, prevedere criticità solite e ricorrenti, rispetta standard elevati per attraversare il processo di integrazione con i sistemi interni già costituiti in maniera estremamente semplice ed intuitiva.

Innanzitutto, il Server RT consente la realizzazione di un concentratore capace di operare da remoto.

Ad esempio non è necessario che il server sia fisicamente posizionato nel punto vendita, ma può essere collocato presso la sede centrale della catena di negozi con i sigilli di certificazione corrispondenti a ciascun punto vendita.

Il vantaggio è immediatamente comprensibile se si pensa alla semplificazione e alla riduzione dei costi di manutenzione a cui dovrebbe provvedere l’azienda per rispettare la normativa.

Così facendo, vengono snellite anche eventuali operazioni di apertura di nuovi punti vendita.

Nell’eventualità in cui si verifichino fusioni o acquisizioni tra due diverse catene commerciali, il software per il punto cassa può essere integrato, per mantenere la continuità e l’omogeneità dei dati per l’invio telematico dei corrispettivi all’Agenzia delle Entrate.

L’applicazione POS è collegata a un registratore non fiscale per la stampa degli scontrini di vendita, il cui contenuto corrisponde ai precisi vincoli già definiti dall’Agenzia delle Entrate.

Gli scontrini di vendita, ora documenti commerciali, possono essere di tre tipologie:

  1. Transazione di vendita (scontrino non fiscale)
  2. Transazione di reso (bolla di reso)
  3. Transazione di annullo (nota di accredito)

Tutti gli altri scontrini stampati dal programma di cassa (coupon, versamento cassiere, voucher di pagamento con EFT ecc. ecc.) non sono considerati documenti fiscali e non sono inviati al server RT.


In questa fase, è fondamentale affidarsi a un partner competente, capace di analizzare le caratteristiche dei punti vendita e valutare la soluzione più adatta per rispondere agli adempimenti all’Art. 2 del D.Lgs. del 5 agosto 2015 n. 127.

Grazie ai numerosi progetti seguiti, durante l’evolversi della informatizzazione della pubblica amministrazione fiscale.

L’Incista  SpA conosce molto bene i processi organizzativi e le esigenze del mondo economico.

Mettiamo così a disposizione le nostre competenze acquisite in oltre 60 anni di esperienza sul campo per suggerirti l’approccio più adatto per un adeguamento alla nuova normativa fiscale che entrerà in vigore il 1° gennaio 2019, semplice intuitivo e sopratutto economico.

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La Trasmissione Telematica dei corrispettivi è un OBBLIGO

Operazioni nei porti e applicazione dell’imposta IVA

Operazioni nei porti e applicazione dell’imposta IVA

Sappiamo che la fattura elettronica anche tra i privati è slittata di sei mesi. Da gennaio 2019, abbiamo il tempo di rivedere alcune sistematicità ormai obsolete. Infatti esistono in ambito portuale alcuni Servizi non imponibili per i quali continuiamo ad addebitare l’IVA.

Nell’ambito della normativa relativa all’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (Dpr 633/72), vengono classificate una serie di operazioni che godono del criterio di “non imponibilità”.
L’articolo 9 del Dpr 633/72 considera “non imponibili” i servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, e, fra questi. Sono da reputare particolarmente rilevanti quelli individuati nel numero 6 del comma 1 dell’articolo 9 del citato Dpr.
Nell’articolo sono individuati “i servizi prestati nei porti, autoporti, aeroporti e negli scali ferroviari di confine i quali. Riflettono direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto, nonché quelli resi dagli agenti marittimi raccomandatari”.

Con particolare riferimento ai servizi prestati nei porti. Si può quindi affermare che la non imponibilità si rende applicabile allorché risultano verificate le seguenti duplici condizioni (risoluzione 176/2000):
1) le operazioni devono essere svolte nei porti;
2) le operazioni devono essere rivolte “direttamente” a quegli interventi espressamente indicati nella norma testé riportata. (riflettono direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti portuali)
La semplice enunciazione dei presupposti non sembra esaustiva ai fini della comprensione dell’ambito applicativo della norma.
Bisogna infatti, considerare la problematica interpretativa che negli anni si è sviluppata. Sia dal punto di vista delle operazioni che possono riscontrare il requisito di non imponibilità sia dell’ambito territoriale entro il quale le stesse devono svolgersi. Nonché la verifica della sussistenza del rapporto diretto delle operazioni con determinate attività portuali appunto.

Operazioni che consentono la non imponibilità

Ai fini della esatta individuazione delle operazioni rientranti nel criterio di non imponibilità, va preliminarmente considerato quanto sottolineato e ribadito dalla risoluzione n. 247/E del 23/7/2002, a fronte dell’ipotesi di acquisizione di immobili destinati a incrementare gli scambi ma situati peraltro al di fuori dell’area portuale.
Infatti, il n. 6 del primo comma dell’articolo 9 del Dpr 633/72 riconosce, come già detto. Il trattamento di non imponibilità “ai servizi prestati nei porti, autoporti, aeroporti e scali ferroviari. Di confine che riflettono direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti. Ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto. Pertanto, come si evince senza possibilità di dubbio dal disposto testuale della norma citata. Il trattamento di non imponibilità si applica esclusivamente alle prestazioni di servizi rispondenti ai requisiti posti dalla norma medesima. E non anche alle cessioni di beni”.

Dal punto di vista della considerazione della tipologia di operazioni non imponibili. Va altresì rilevato che abitualmente quelle svolte dalle compagnie portuali. Quali imbarco, sbarco, trasbordo deposito e il movimento delle merci in genere rivestono tale caratteristica. Sia che queste “agiscano come tali sia nel caso che operino in veste di imprese addette alle operazioni portuali per conto di terzi …” (risoluzione n. 522788/73).
La non imponibilità, peraltro. È da riconoscersi anche nel caso in cui le suddette prestazioni “siano rese per merci nazionali imbarcate su navi in servizio di cabotaggio” (risoluzione n. 531302/73).
La non imponibilità, inoltre, è da riconoscersi anche nel caso in cui terzi riscuotano compensi in nome e per conto delle compagnie.  Ed a quest’ultime destinati (risoluzione n. 360490/78).

Ciò premesso, è opportuno dettagliare una serie di operazioni a cui è stato ritenuto applicabile il criterio in questione. In quanto rispondenti alle condizioni in precedenza esposte.

Sono da considerarsi non imponibili, fra l’altro:

Le perizie sulle condizioni delle navi e delle dotazioni di bordo rese agli armatori, onde accertarne l’idoneità alle operazioni di ricevimento e trasporto, poiché “riflettono direttamente il movimento della nave ” e sono effettuate nei porti (risoluzione n. 422516 del 9/7/81).

Nell’ambito di tali perizie vanno considerate anche quelle attinenti alla verifica di eventuali gas a bordo, ad esclusione di quelle che non sono direttamente connesse al movimento delle navi

Le perizie effettuate sulle merci in relazione all’imbarco o allo sbarco, al fine di accertarne la qualità o la quantità (risoluzione n. 422516 del 9/7/81). Tuttavia, sono da considerasi non imponibili “esclusivamente quelle che, eseguite nell’ambito portuale, sono necessariamente e direttamente connesse al movimento dei beni (es. perizie effettuate sull’imballo di una merce pericolosa).

Restano di conseguenza escluse quelle perizie che non avendo detta connessione, né essendo previste dalla legge, vengono eseguite nell’interesse esclusivo dell’armatore o dell’importatore”.

A tale proposito va anche ricordata la risoluzione n. 391468/82, ove è stato precisato che le prestazioni di controllo peso e qualità merci nei porti sono viceversa imponibili, se “eseguite su beni in partenza da un porto italiano e con destinazione finale ad altro porto italiano trattandosi di operazioni che non riflettono direttamente il movimento dei beni o mezzi di trasporto, così come tassativamente prescrive la citata norma di legge”.
Inoltre, la risoluzione n. 2851 del 28/11/88 ha escluso la non imponibilità per le operazioni di introduzione di merci nei magazzini o recinti di temporanea custodia in quanto rese “nell’esclusivo interesse dell’operatore, dal momento che questi la richiede allorquando non intenda dare alle merci in arrivo nel territorio doganale una immediata destinazione doganale, ne consegue che le relative spese di magazzinaggio, a prescindere dall’ubicazione degli impianti, non possono non essere assoggettate al regolare pagamento dell’IVA, nei modi e nei termini stabiliti dalle disposizioni in vigore”

Le perizie su navi per presa in consegna a termini di contratto di noleggio, al fine di accertarne le condizioni tecniche, poiché anche queste “connesse direttamente al movimento della nave” (risoluzione n. 422516 del 9/7/81).

Le operazioni di alleggerimento delle navi (allibo), anche se rese nelle rade antistanti i porti “in quanto, giusta i chiarimenti forniti dal Ministero della Marina Mercantile – Direzione Generale del Demanio Marittimo e dei Porti – le rade medesime sono da considerarsi, ai sensi della vigente normativa regolante la materia, come parte del porto” (risoluzione n. 399650/84)
Le operazioni di disinquinamento o antinquinamento, se rese nelle acque portuali (comprese le rade), a condizione che l’inquinamento rappresenti un ostacolo per l’impiego normale degli impianti portuali o i mezzi di trasporto, “purché tale circostanza sia riconosciuta dall’Autorità Marittima cui fa capo la sorveglianza e la sicurezza del porto” (risoluzione n. 2/96).
Viceversa, sono sottoposte a tassazione le operazioni svolte al di fuori delle aree portuali e quelle che sebbene effettuate in tali aree mirano soltanto a prevenire l’inquinamento. “In tali ultimi casi, infatti, i servizi non riflettono direttamente, come richiesto dalla legge, il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto” (risoluzione n. 2/96).
Vedasi anche, a tale proposito, le risoluzioni n. 355684/85 e n. 415043/86.

I servizi prestati nei porti e il movimento dei mezzi di trasporto (numero 6 del comma 1 dell’articolo 9).

In relazione a questi ultimi, devono ricomprendersi anche il pilotaggio e il rimorchio delle navi (risoluzione n. 410082 del 22/10/76).
La risoluzione n. 465321 del 20/8/92 ha riconosciuto, inoltre, la non imponibilità per le prestazioni di manutenzione e riparazione eseguite nell’ambito di autoporti su autoveicoli adibiti a trasporto internazionale.
Va, altresì, considerato che talvolta gli operatori ricorrono a società terze per poter portare a compimento le operazioni di sbarco e imbarco delle merci.
A tal proposito, la risoluzione n. 153 del 22/7/1996 ritenne imponibili le prestazioni di servizi relative alla fornitura di manovalanza e attrezzature onde adempiere alle operazioni predette, mentre per quelle “che riflettono direttamente la movimentazione delle merci” permane il carattere di non imponibilità.

Ciò in quanto quest’ultime hanno “natura oggettiva” e, quindi, a esse si rende applicabile il criterio di non imponibilità “a prescindere dalla circostanza che i servizi stessi vengano eseguiti direttamente dall’impresa appaltatrice (società associata) ovvero da quest’ultima affidati in subappalto a terzi” (risoluzione n. 153/96).

Allo stesso modo, ritenendo che fossero conformi al quadro normativo che prevede la non imponibilità in presenza di un dato luogo (porto) “in cui le prestazioni sono rese e dall’altro dalla riferibilità delle stesse prestazioni all’attività che viene svolta ordinariamente nei predetti luoghi”, la risoluzione n. 176/2000 ha ritenuto non imponibili le prestazioni di servizio dirette ad assicurare la movimentazione delle merci conto terra e la introduzione delle medesime nei magazzini e nei recinti di temporanea custodia.

Viceversa, la risoluzione n. 410 del 30/12/93 ha negato la non imponibilità al servizio di portabagagli “in quanto le prestazioni in parola solo indirettamente sono connesse con il movimento dei beni trattandosi di un servizio reso a diretto vantaggio del viaggiatore e che non si appalesa necessario ai fini dell’oggettiva movimentazione dei beni”.
“In tale caso, infatti, si evidenzia l’esistenza di una esigenza personale del soggetto in quanto tale e non nella veste di viaggiatore” (risoluzione n. 176/2000).
Allo stesso modo devono considerarsi imponibili le operazioni di emissione per conto terzi delle lettere di trasporto aereo con le relative commissioni.

Una ulteriore tipologia di operazioni è quella costituita dalla concessione di posti per natanti da diporto e le prestazioni di ormeggio.

Le due operazioni non sono entrambe non imponibili, poiché la sosta dell’imbarcazione rappresenta una prestazione e come tale tassabile, ben distinguendosi dai servizi indicati nel n. 6 dell’articolo 9, che, se distinti ai fini della riscossione dei corrispettivi, possono essere considerati non imponibili.
Tanto veniva stabilito con la risoluzione n. 521057/76, ma, successivamente, la risoluzione n. 411666/77 precisò che “ove detta prestazione non si esaurisca nel puro e semplice stazionamento nel porto delle cennate unità ma dia la possibilità sia pure in base a distinti rapporti giuridici, di utilizzare altri servizi portuali di natura tecnica, il contratto relativo al posto di ormeggio viene ad inquadrarsi nell’ambito di un complesso organico di prestazioni che, nella loro globalità, sono direttamente connesse al movimento delle unità in questione.

Ne consegue che, in tal caso, la non imponibilità all’I.V.A. di cui all’art. 9, punto 6), del D.P.R. 26.10.1972, n. 633, quale risulta dalle modifiche apportate dal D.P.R. 23.12.1974, n. 687, trova applicazione, oltre che per i richiamati servizi di natura tecnica, anche per la prestazione che concretizza il contratto relativo al posto di ormeggio”.

L’ambito portuale

In precedenza si è avuto modo di accennare come l’operazione goda o meno della non imponibilità anche in funzione del suo svolgimento nell’ambito del porto, secondo il preciso riferimento effettuato dal numero 6 del comma 1 dell’articolo 9 del Dpr 633/72 (risoluzione n. 420249/80).
Tra l’altro, va detto che tale riconoscimento è da intendersi di natura “oggettiva” e quindi a nulla influendo che i porti rientrino eventualmente nell’ambito delle funzioni amministrative dell’ente Regione.

Tuttavia, una delle questioni postesi nel tempo è se nell’ambito del concetto di “area portuale” potessero essere ricompresi anche i porti turistici.

A tal fine, bisogna premettere che per “porto” ai fini fiscali deve intendersi “il complesso di opere ed attrezzature funzionalmente destinate a consentire gli scambi commerciali e le attività a questi strumentali, quali ad esempio il movimento dei mezzi di trasporto” (risoluzione n. 66/88).

Viceversa, i porti turistici non rispondono a tale criterio poiché “non possono essere utilizzati per attività commerciali, in ragione delle loro caratteristiche di costruzione e del tipo di imbarcazione (da diporto) che in netta prevalenza vi sono ospitate per durevoli periodi di ormeggio” (risoluzione n. 66/88).
Pertanto, essi “non risultano aperti all’uso della generalità secondo i principi che governano, in particolare, l’uso c.d. comune dei beni demaniali, bensì ad uso eccezionale riservato ad un limitato numero di utenti (con la sola eccezione della parte destinata a fungere da “porto pubblico”)” (risoluzione n. 66/88).
Ne consegue, quindi, che le operazioni svolte nei porti turistici, con particolare riferimento a quelle di ormeggio, locazioni o concessione di posti barca, non possono godere del criterio di non imponibilità.
La negazione della non imponibilità si estende anche a eventuali lavori di dragaggio, ampliamento specchio acqueo e ampliamento della struttura in genere, per le motivazioni in precedenza addotte (risoluzione n. 82/2002).

Operazioni nei porti e applicazione dell’imposta IVA

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