Come aprire uno studio commerciale e diventare commercialista

Come aprire uno studio commerciale e diventare commercialista

Come aprire uno studio commerciale e diventare commercialista

Vuoi aprire uno studio commerciale, vuoi diventare un commercialista.

Se ti senti pronto a diventare il professionista di riferimento dei cittadini e non solo degli imprenditori per rispettare correttamente la legge amministrativa e fiscale nel paese più burocrate e con più regole al mondo. Benvenuto!

Da sempre siamo favorevoli all’apertura di nuove realtà professionali. Con questa mini guida vogliamo dare una sintesi dei principali punti di analisi, per raggiungere quello che per molti è un sogno.

Non per scoraggiare quanti vogliono intraprendere questa recente, libera professione però bisogna ricordare che, per aprire uno studio commerciale in Italia non bastano la laurea e l’ entusiasmo sempre ai massimi livelli, ma sarà necessaria una dose eccezionale di abnegazione, buona volontà, resistenza e resilienza, molta passione capacità e voglia di confrontarsi con colleghi non sempre corretti, rinnovarsi continuamente.

L’Italia con la sua burocrazia complicata e diversificata da regione a regione ma spesso anche da ufficio ad ufficio, costringe ad essere costantemente aggiornati per conoscenze specifiche e tecniche di studio, bisogna proprio non mollare mai per poter offrire un servizio ai propri clienti sempre ai massimi livelli.

Del resto, quelli che hanno una buona padronanza della propria personalità, possono garantirsi un buon tenore di vita che si eleva anche di molto se oltre la parlantina buona sapranno lavorare anche bene.

Avviare uno studio di dottore commercialista in Italia è semplice a causa dei bassi costi iniziali e della semplicità nel reperire i primi clienti.

Non bisogna dare credito a stime secondo le quali il costo iniziale per aprire uno studio commerciale parte dai 15.000,00 €, fino ad arrivare ai 50.000,00 a seconda della città e dalle dimensioni dello studio.
Infatti puoi avviare lo studio da solo, con poco più di 5.000,00 € oppure associarti ad altri professionisti con meno di 2.000,00 € come ad esempio un consulente del lavoro e un consulente aziendale od in sicurezza, per ridurre le spese fisse di studio ed offrire più servizi insieme.

Il dottore commercialista è infatti un professionista in grado di offrire ulteriori servizi essenziali alle imprese, il quale secondo necessità, può nominare consulenti ed imprese terze di sua fiducia.

Esperto della gestione fiscale e patrimoniale delle aziende, il commercialista gestisce per l’imprenditore tutto quello che riguarda il fisco e la burocrazia, il pagamento delle tasse, gli adempimenti civili e fiscali, la retribuzione dei dipendenti, il bilancio annuale e la sua revisione, il business plan od il monitoraggio per la prevenzione della crisi d’impresa, la gestione del patrimonio e la pianificazione della migliore strategia in termini economici, civili e fiscali.

Il commercialista non è solo un professionista, ma anche e soprattutto un abile consigliere e sostenitore dell’imprenditore e della sua impresa.

Indice

  • 1 Requisiti per diventare commercialista
  • 2 Come aprire lo studio di commercialista
  • 3 Spese fisse di studio del commercialista
  • 4 Come trovare i clienti

REQUISITI PER DIVENTARE COMMERCIALISTA

La libera professione di dottore commercialista è regolata dal DECRETO LEGISLATIVO 28 giugno 2005, n. 139  Costituzione dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, a norma dell’articolo 2 della legge 24 febbraio 2005, n. 34. (GU Serie Generale n.166 del 19-07-2005 – Suppl. Ordinario n. 126)Entrato in vigore il: 3/8/2005. Il quale delinea l’ordinamento dopo l’unificazione dell’Albo dei dottori commercialisti con quello preesistente così come previsto dal D.P.R. 27.10.1953 N. 1068 – ORDINAMENTO DELLA PROFESSIONE DI RAGIONIERE E PERITO COMMERCIALE (pubblicato nella G.U. n. 34 dell’11.2.1954).

Per esercitare la libera professione occorre la laurea quinquennale di secondo livello in Scienza dell’Economia, in Scienze economico-aziendali o in Economia e Commercio, un tirocinio di tre anni presso un dottore commercialista iscritto all’Albo l’iscritto rilascerà il Certificato di compimento del tirocinio con il quale è possibile iscriversi all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione, una volta superato l’esame di abilitazione, si potrà inoltrare la domanda di iscrizione all’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili nella sezione specifica di appartenenza.

Dal 1° gennaio 2008 non è più possibile iscriversi al registro dei praticanti dottori commercialisti con una laurea in Giurisprudenza o in Scienze politiche, ma è necessario aver conseguito:

  • laurea in economia;
  • laurea specialistica in scienze dell’Economia;
  • laurea specialistica in scienze economico-aziendali;
  • laurea magistrale in scienze dell’economia;
  • laurea magistrale in scienze economico-aziendali.

L’esercizio della professione di commercialista è incompatibile con la professione di: notaio; giornalista professionista; imprenditore, sia in nome proprio che per conto d’altri, industriale di produzione di beni e fornitore di servizi, di trasporto e spedizioni, bancarie, assicurative e agricole; mediatore; appaltatore di servizi pubblici; concessionario della riscossione dei tributi; promotore finanziario.

COME APRIRE LO STUDIO DI COMMERCIALISTA

Una volta ultimato il periodo di formazione specifica o tirocinio presso un  iscritto e superato l’esame di stato, con l’iscrizione all’albo nella sezione specifica si può aprire lo studio da commercialista secondo seguenti passaggi propedeutici:

  • richiesta di attribuzione della Partita IVA;
  • iscrizione INAIL per l’assicurazione obbligatoria contro infortuni sul lavoro e malattie professionali;
  • iscrizione Cassa Nazionale di Previdenza dei dottori commercialisti per la gestione di contributi pensionistici.

Il dottore commercialista è tenuto a versare i contributi previdenziali alla Cassa di previdenza dei liberi professionisti in rapporto di lavoro non dipendente (Cassa Nazionale di Previdenza dei dottori commercialisti).

Negli altri casi il suo reddito sarà soggetto a INPS con iscrizione alla c.d. Gestione Separata.

SPESE FISSE DI STUDIO DEL COMMERCIALISTA

La previdenza professionale rappresenta la principale spesa da dover digerire per il commercialista: la spesa dei contributi parte dai 4.000,00 euro annui, in uno con le spese di iscrizione all’albo si può facilmente superare i 5.500,00 mila euro l’anno.

Oltre ai contributi, il commercialista deve considerare altre spese legate all’autonomia professionale come gli affitti che variano da poche centinaia di euro per le piccole città di provincia, fino alle migliaia di euro per gli studi nei centri storici ovvero nelle principali città italiane. È possibile dividere le spese con altri professionisti, quali il fitto dei locali, la segreteria, la pulizia e la sicurezza dei locali, gli aggiornamenti professionali, le fornitore di software ed hardware.

È molto importante scegliere la giusta location, per non avere troppe spese fisse, generalmente il commercialista considera la facilità di parcheggio, tenuto conto che anche il ritiro e la consegna dei documenti può avvenire via internet.

Massima attenzione va data al software gestionale poiché è grazie ad esso che si sviluppa tutta l’attività del commercialista: dalla scelta del gestionale dipende la qualità del servizio e, di conseguenza, la soddisfazione del professionista e della sua clientela.

I software informatici sono spesso molto costosi e necessitano di assistenza e manutenzione continua, sicuramente avrai modo di interagire con questi programmi durante il tuo tirocinio.

COME TROVARE I CLIENTI

Molti commercialisti proseguono l’attività di famiglia non molti possono vantare il medesimo sistema di studio organizzato da 5 generazioni e quindi non dovranno preoccuparsi di trovare nuovi clienti, ma piuttosto avere la cura di mantenere quelli ereditati.

Ovviamente anche questi storici studi saranno obbligati a rimpiazzare, le attività che naturalmente cessano.

Non tutti i nuovi commercialisti hanno ovviamente questa fortuna e pertanto dovranno buttarsi alla ricerca di nuovi contatti od incarichi.

Sicuramente sarà importante mantenere i rapporti e farsi conoscere durante il proprio tirocinio, spesso questa è la migliore opportunità di iniziare con un lavoro dipendente presso qualche azienda cliente dello studio master tutor, così da potersi formare ulteriormente prima di fare il grande passo. Verso la libera professione.

Così come qualsiasi altra attività, non bisogna mai sperare che i clienti ti trovino, ma bisogna fare in modo che chi cerca un commercialista, possa trovare il vostro studio con maggiore semplicità.

È bene specializzarsi in ambiti innovativi come il settore webmarketing, la cloud in blockchain informatica, la vendita online, più lo studio è specializzato nell’impiego delle tecniche informatiche, ed oggi dello smart working, più avrà modo di rendersi interessante e sostenibile, per i componenti della categoria degli imprenditori, casalinghe, pensionati, studenti, ecc. ecc.

Ci si può specializzare negli ambiti più disparati per le proprie consulenze, dando libero sfogo alle caratteristiche individuali o delle attività più congeniali per il professionista. Ad esempio nel succedersi di generazioni di contadini produttori di vino, qualche laureato si occupa della contabilità e della consulenza appunto nell’ambito della filiera della produzione e vendita del vino.

Puoi fare affidamento al web non solo per specializzarti, ma anche per trovare risorse come gli aggiornamenti professionali e le collaborazioni oppure anche i clienti. La sfida è orientarsi per bene nell’ambito del fake web sopratutto per i professionisti del “copia ed incolla”.

Aprire un sito internet per scrivere in relazione dei servizi offerti dal nuovo studio, così da poter mostrare le competenze del commercialista titolare.

Speriamo di aver dato qualche utile indicazione ai futuri commercialisti certamente non esaustiva, per avviare verso la libera professione i giovani. Per qualsiasi dubbio non esitate a compilare ed ad inviare la form di contatto.

Buona fortuna per la vostra nuova attività.

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Z-score: NUOVO CODICE DELLA CRISI E DELL’INSOLVENZA

Z-score: & NUOVO CODICE DELLA CRISI E DELL’INSOLVENZA

Z-score: NUOVO CODICE DELLA CRISI E DELL’INSOLVENZA

Non di rado studiamo temi di Economia Aziendale e contabilità. Cercando con perizia di interfacciare le esigenze dei clienti con la Pubblica Amministrazione interessata ai fatti aziendali, quali ad esempio:

Check up aziendale;
Valutiamo le PMI;
Calcoliamo i Rating ;
Calcoliamo le probabilità di default aziendale delle PMI;
Preveniamo il rischio di credito e di liquidità;
Valutiamo le performance della Governance stabilendo un grado di adeguatezza;
Valutiamo i piani strategici da attuare in azienda;
le attività di gestione del passaggio generazionale;
Coordiniamo la gestione della Crisi d’impresa;
Coordiniamo la gestione del Risanamento e Turnaround, più conosciuto come il piano di risanamento e di ristrutturazione profonda di una azienda in crisi;
Cooperiamo alla attuazione delle strategie di sostenibilità dell’impresa;
Assistiamo per la redazione del Bilancio compressi i report periodici ed annuali o di Sostenibilità;
Cerchiamo di proporre i correttivi giusti per gestire i momenti critici dell’attività aziendale. Le strategie ottimali per migliorare le performance aziendali in situazioni anche di non normale attività.

L’argomento che maggiormente interessa gli operatori del diritto e della finanza dopo l’introduzione del codice della crisi d’impresa. È il risanamento d’impresa o il suo mantenimento in solvenza:

Quali sono quindi effettivamente, gli indici per la rilevazione della crisi e le tecniche di risanamento di bilancio.

A supportare la soluzione sembra intervenire l’articolo 16 primo comma proprio del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza. Ove testualmente si legge: “Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario. Rapportati alle specifiche caratteristiche dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore e rilevabili attraverso appositi indici, con particolare riguardo alla sostenibilità dei debiti nei successivi sei mesi ed alle prospettive di continuità aziendale, nonché l’esistenza di significativi e reiterati ritardi nei pagamenti, tenuto conto anche di quanto previsto nell’articolo 27…”

Tali indici erano già indicati nella Legge 155/2017 con la seguente espressione. “…prevedere che il requisito della tempestività ricorra esclusivamente. Quando il debitore abbia proposto una delle predette istanze, entro il termine di sei mesi dal verificarsi di determinati indici di natura finanziaria da individuare considerando, in particolare:

  • il rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi,
  • l’indice di rotazione dei crediti,
  • l’indice di rotazione del magazzino
  • l’indice di liquidità corrente…

La circostanza secondo la quale il momento coincidente all’avvio della crisi viene individuato dalla Legge Delega mediante l’applicazione di tali indici. Comporta l’inevitabile considerazione secondo la quale. Gli indici descritti a cui la norma si riferisce sono da tempo superati nella dottrina aziendalistica per il controllo ordinario della gestione.

Infatti. Sappiamo che l’espressione  “analisi di bilancio per indici“. Identifica una tecnica di indagine, la quale attraverso la rielaborazione e lo studio critico dei valori e delle informazioni di bilancio. Si prefigge gli scopi di :

  • comprendere la dinamica della gestione trascorsa, esaminata nella sua interezza ovvero mirata ad alcuni suoi aspetti o settori;
  • esprimere un giudizio fondato in merito allo stato di salute dell’unità produttiva analizzata;
  • formulare stime il più possibile fondate, circa la presumibile evoluzione futura della dinamica aziendale.

Gli indici indicati dalla norma non essendo in grado di pervenire a tali conclusioni. Secondo unanime dottrina aziendalistica. Se fossero presi quale indicatore preventivo di stato di crisi d’impresa, probabilmente più del 70% delle imprese italiane. Dovrebbero essere considerate in fase di crisi quantomeno avviata.

Nella attuale stesura dell’articolo 16, tali indici sono stati rimossi a favore di più mirati indici definiti “appositi indici”. Ma come di consueto in Italia; Senza indicare quali specificatamente:

Non resta che cercare di capire quali possano essere gli appositi indici. In grado di evidenziare e far emergere lo stato coincidente o precedente la crisi dell’impresa.

L’elaborazione di modelli in grado di rilevare lo stato di crisi di un’impresa. È sempre stato in pratica ed in dottrina un tema di forte interesse.

Da sempre è ricercata la possibilità di avere strumenti atti a diagnosticare preventivamente i primi sintomi di uno stato di crisi di un’impresa per consentire ai vari stakeholders la ricerca e l’attuazione dei comportamenti correttivi necessari alla sua soluzione o prevenzione. Oppure per evitare di far desistere eventuali partner investitori o compratori. La dottrina aziendalistica, in tema di audit interno, si basa su modelli divisibili nelle due macro categorie dei:

  • modelli qualitativi,
  • modelli quantitativi.

I modelli qualitativi si basano sul presupposto che un’analisi fondata meramente su dati numerici in generale e su indici di bilancio in particolare, presenti dei limiti piuttosto evidenti ed elevati sulla possibilità di poter avere un giudizio di merito sullo stato di salute dell’impresa analizzata.

Un modello qualitativo molto diffuso è l’A-score model, elaborato da J. Argenti nel 1976, il quale si basa sulla seguente logica:

Le debolezze del management e le carenze a livello di sistema contabile (prima variabile) sono causa di errori (seconda variabile) che conducono ai sintomi del fallimento (terza variabile).

Attribuendo un punteggio ad ogni singolo elemento che compone le tre variabili indicate è possibile calcolare l’indice A score; se il valore che ne risulta è inferiore a 25 dal momento della rilevazione si ha una elevata probabilità di insolvenza (default) nei sei mesi successivi.

La validità di questo modello, come detto, presenta forti limiti di attendibilità e non è mai stata testata in modo scientifico in quanto ha il difetto di essere influenzata in maniera troppo “soggettiva” nell’attribuzione dei punteggi posti alla base dell’indice.

  • I modelli quantitativi sono invece basati sull’applicazione di indici di bilancio che possono essere suddivisi in:
  • 1) modelli “teorici”;
  • 2) modelli “empirici”.

I “modelli teorici” sono modelli che non sono mai stati utilizzati nelle analisi d’impresa in quanto riguardano l’applicazione allo schema che può essere descritto come quello “dell’impresa perfetta od ideale” ovvero l’impresa teorica ed immaginaria ovvero totalmente inesistente in quanto astratta e priva delle particolarità e peculiarità dei casi concreti; Sono quindi indici che seguono una logica mai concretizzata e sicuramente mai rilevabile nella realtà, e spesso troppo semplicistica, secondo cui un patrimonio netto, inferiore alle passività, conduce inevitabilmente al default, senza tener conto di alcuna delle variabili patrimoniali legate alle disponibilità fuori dal bilancio, ma indicate solo in Nota Integrativa

I “modelli empirici” utilizzano invece l’approccio induttivo e statistico su un campione di aziende significativo, per trarre delle regole che possano essere anche se non proprio applicate, ma quantomeno confrontate, con l’impresa concreta in osservazione, per cui applicarne i correttivi individuali, in maniera sufficientemente comparabile al caso in esame.

Tra i modelli empirici si possono citare quelli elaborati da:

Beavel nel 1966, Altman nel 1968, Taffler e Tishaw nel 1977, Ezzamel, Brodie e Mar-Molinero nel 1987.

È opportuno nel presente approfondimento, menzionare il Modello Alberici del 1975 e Argenti del 1983 i quali hanno trattato le tematiche delle analisi con campioni di imprese quantomeno italiane.

Fra tutti quelli indicati o considerati in dottrina, è certamente condivisibile la tesi secondo la quale il modello diagnostico più adeguato o verosimile è quello elaborato da Altman, anch’esso poi omologato alle PMI Italiane.

Lo “Z score model” di Altman ha la caratteristica di possedere un elevato tasso di affidabilità infatti la percentuale di errore di norma è compresa tra il 15% ed il 25%, anche in situazioni contraddistinte da anomalie contabili ovvero quando società prossime al dissesto inquinano i risultati di bilancio introducendo dati non veritieri per dissimulare il proprio status di dissesto anche se già deflagrato; a volte questo modello si presta anche, per capire se le scritture contabili sono attendibili od inesorabilmente alterate.

Il principale punto di forza del modello di Altman riguarda la semplicità d’uso: è sufficiente, infatti, risolvere un’equazione di primo grado ed ottenere il valore “Z score”, il quale comparato con gli altri parametri restituisce il cut off  con il quale è possibile determinare con apprezzabile certezza, se è possibile inserire la società nell’area di :

  • presumibile insolvenza;
  • potenziale solvibilità;
  • zona grigia.

In relazione alla Grey Zone o zona grigia non è possibile esprimere un giudizio definitivo, ma denota uno stato di salute economico-finanziario sicuramente precario.

Il modello dello Z-score, come la maggior parte dei modelli classificatori nell’ambito della diagnosi precoce e preventiva del rischio di insolvenza aziendale, si basa sulla analisi statistica discriminante.

Grazie alle molteplici applicazioni e forme di comparabilità oggi anche storiche è possibile dire che, il modello Z-score, permette di classificare col minimo errore un insieme di unità statistiche in due o più gruppi individuati a priori ad esempio i due gruppi di società selezionate distinte tra insolventi e non insolventi, tenuto conto dell’insieme di caratteristiche note e funzionali alla ricerca dell’indice o Z-score, si ottengono così dei risultati che possono essere traslati sulla singola impresa verificata. Raffrontando i valori che statisticamente si sono dimostrati essere discriminanti.

Per elaborare valori significativi, area per area di norma si identifica un variegato campione di imprese che devono poi essere assegnate a uno dei due previsti gruppi sulla base di una serie di variabili, definite appunto discriminanti e rappresentate da indici di bilancio.

Analisi Discriminante Lineare :

O = società insolventi; X = società insolventi.

Per ottenerla si devono preliminarmente analizzare i seguenti aspetti:

1. Aspetto descrittivo: si esplica nel costruire una regola di classificazione che permetta di individuare le caratteristiche delle unità statistiche che meglio discriminano le imprese tra i due gruppi;

2. Aspetto predittivo: la classificazione di una nuova unità statistica, di cui non si conosce la provenienza, in uno dei gruppi individuati a priori;

3. Errore di classificazione: l’aspetto è legato alla prevaricazione del gruppo. Infatti la probabilità che l’unità sia classificata in un gruppo diverso da quello di effettiva appartenenza, non può essere nulla.

La funzione statistica discriminante è quindi rappresentata con la seguente equazione :

Y = A1X1+A2X2+ …. + ANXN

dove A1, A2, …, AN rappresentano i coefficienti discriminanti della funzione e gli X1, X2, …, XN le variabili discriminanti determinate dall’esecutore del modello.

Una volta effettuata la selezione delle aziende, la raccolta dei bilanci per gli esercizi da considerare, si provvede ad analizzare la funzione discriminante originariamente elaborata da Altman per il suo indice lo “Z-score” appunto.

Tale funzione classifica le variabili nei seguenti indici di bilancio relativi all’analisi:

  • della liquidità,
  • della redditività,
  • della leva finanziaria,
  • della solvibilità,
  • dell’attività caratteristica.

Pertanto le variabili scelte sono dispari, divise in cinque indici, ciascuna rappresenta l’area dell’economia della specifica azienda osservata.

Di norma si usa la seguente procedura :

1. osservazione del significato statistico di ciascuna variabile in funzione di altri possibili indici, incluso il contributo alla analisi discriminante che ciascuna indipendente variabile, apporta ;

2. valutazione della correlazione di ciascuna variabile con le altre ;

3. valutazione dei test di significatività e analisi dei risultati.

Le variabili discriminanti individuate da Altman nel suo studio a modello originario; Ma rielaborate ed aggiornate per la realtà italiana delle PMI sono le seguenti :

X1 = (AC PC)/(AM+AI+RF+AC+DL)

X2 = (RL+RS)/TA

X3 = UON/(AM+AI+RF+AC)

X4 = PN/TP

X5 = RV/(AM+AI+RF+AC+DL)

Con l’espressione s’intende:

AC = Attività Correnti;

PC = Passività Correnti;

AM = Immobilizzazioni Materiali;

AI = Immobilizzazioni Immateriali;

RF = Rimanenze Finali;

DL = Disponibilità Liquide;

RL = Riserva Legale;

RS = Riserva Straordinaria;

TA = Totale Attività;

UON = Utile Operativo Netto;

PN = Patrimonio Netto;

TP = Totale Passività;

RV = Ricavi di Vendita;

X1 = esprime il valore delle attività liquide dell’azienda rispetto alla capitalizzazione totale.

Risulta evidente che una società che va incontro a perdite operative consistenti avrà una forte riduzione delle attività correnti in relazione al totale delle attività possibili.

Tale indice è sicuramente il migliore fra gli indici di liquidità, fra i quali si ricordano il current ratio ed il quick ratio.

X2 = esprime la capacità dell’impresa di reinvestire i propri utili.

Un’impresa neo varata avrà certamente un indice minore rispetto ad un azienda in navigazione già da tempo; questo perché la prima, non ha avuto materialmente il tempo di costituire proprie riserve:

Conseguentemente; Nella valutazione del rischio di insolvenza l’impresa giovane è sicuramente penalizzata in quanto questa sua caratteristica costituisce una probabilità di insolvenza maggiore dell’altra.

X3 = misura la vera produttività delle attività di un’impresa depurate da qualsiasi fattore di leva finanziaria o fiscale.

Per tale motivo l’indice risulta particolarmente appropriato nella definizione della probabilità di insolvenza e successivo fallimento; Oggi crisi aziendale.

X4 = mostra di quanto le attività di un azienda si possono ridurre prima che le passività totali eccedano le attività e si creino le condizioni per l’apertura della crisi d’impresa.

X5 = evidenzia la capacità di un azienda di generare ricavi con un determinato valore dell’attivo patrimoniale.

Esso misura la capacità dell’imprenditore di rapportarsi con la competitività del mercato di riferimento.

La funzione discriminante che se ne ricava (considerando A, B, C, D, E i risultati delle variabili indicate) è:

Z = aX1+bX2+cX3+dX4+eX5 da cui si desumono i valori del cut off e della grey area.

Tali valori sono utili sia alle banche che al fisco perché ritenuti i più rispondenti possibile per valutare lo stato di salute dell’impresa, ma anche l’atteggiamento del suo management nei confronti del mercato di riferimento;

Infatti se l’impresa ottiene un risultato :

Z superiore al valore massimo è strutturalmente sana ;
se lo Z risulta inferiore al valore minimo è destinata all’insolvenza e se non corretta alla crisi d’impresa, a meno di non modificare pesantemente la sua struttura economico-finanziaria ;
se lo Z risulta compreso tra i valori minimo e massimo, la gestione necessita di cautela .

Come si è visto, tutti i dati necessari per il calcolo dello “Z score” possono essere desunti dal bilancio d’esercizio; i principali pregi dello Z score model sono la semplicità di rilevazione e l’elevata capacità di comparazione nel tempo attraverso le variazioni anno per anno della stessa impresa, non solo ma anche nello spazio attraverso il raffronto tra imprese diverse ovviamente purché ricomprese nello stesso comparto.

Nonostante i numerosi vantaggi attribuiti allo Z-score è possiede anche che manifesti dei limiti, identificabili in:

– non valuta gli Intangible asset di una impresa;

– è asettico rispetto alla ormai imprescindibile congiuntura economica;

– non tiene conto dell’eventuale capacità di una società di ottenere finanza da soggetti diversi o terzi.

La circostanza non è di poco conto per quanti sono costretti a difendersi in Commissione Tributaria per l’applicazione ottusa degli indici ai redditi eventualmente non dichiarati utilizzati dai funzionari dirigenti dell’ Agenzie delle Entrate in caso di accertamento fiscale.

Concludendo si può dire quindi da una parte, attraverso una visione sostanzialmente aziendalistica, che lo Z-score pur non rappresentando l’unica possibilità di valutazione dello stato dell’impresa anche se non precedente alla crisi, è comunque un primo approccio per la verifica prevista dall’articolo 16, 1 comma del Codice della Crisi e dell’Insolvenza;

Lo Z-score sicuramente é sempre più applicato ed utilizzato quale riferimento procedurale, nelle more di una più stringata elencazione degli indici di bilancio da utilizzare per rilevare lo stato precedente la crisi aziendale che dovrà essere dettata dal Legislatore e come previsto nella legge delega di concerto con l’ODCEC nazionale.

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Decreto Cura Italia 2020: cessione crediti deteriorati – credito d’imposta

Decreto Cura Italia 2020: cessione crediti deteriorati - credito d'imposta

Decreto Cura Italia 2020: cessione crediti deteriorati – credito d’imposta

Possibile trasformare in credito d’imposta i crediti deteriorati e le perdite fiscali: lo prevede il Decreto Cura Italia

Leggi tutto “Decreto Cura Italia 2020: cessione crediti deteriorati – credito d’imposta”

Assemblee in videoconferenza

Assemblee in videoconferenza

Assemblee in videoconferenza, dal notariato tutte le regole.

In riferimento al DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020 , n. 18 l’ormai famoso decreto Cura Italia va evidenziato che l’art 106 rubricato con le Norme in materia di svolgimento delle assemblee di società. Prevede al comma secondo che “Con l’avviso di convocazione delle assemblee ordinarie o straordinarie le società per azioni, le società in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, e le società cooperative e le mutue assicuratrici possono prevedere.

Anche in deroga alle diverse disposizioni statutarie, l’espressione del voto in via elettronica o per corrispondenza e l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione. Le predette società possono altresì prevedere che l’assemblea si svolga. Anche esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano l’identificazione dei partecipanti. La loro partecipazione e l’esercizio del diritto di voto, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 2370, quarto comma, 2479-bis, quarto comma, e 2538, sesto comma, codice civile. Senza in ogni caso la necessità che si trovino nel medesimo luogo, ove previsti, il presidente, il segretario o il notaio.

Sarà quindi l’avviso di convocazione ad informare sulla possibilità di partecipare all’assemblea per via telematica. La tendenza a questo tipo di semplificazione viene da lontano. Ma di recente è riproposta l’applicazione informatica in sede assembleare con la massima che riportiamo il;

C O N S I G L I O  N O T A R I L E   –  C O M M I S S I O N E  S O C I E T À
– 1 –
Massima n. 187 – 11 marzo 2020
Intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione
(art. 2370, comma 4, c.c.)
MASSIMA

L’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione – ove consentito dallo statuto ai sensi dell’art. 2370, comma 4, c.c., o comunque ammesso dalla vigente disciplina. Può riguardare la totalità dei partecipanti alla riunione. Ivi compreso il presidente, fermo restando che nel luogo indicato nell’avviso di convocazione deve trovarsi il segretario verbalizzante o il notaio. Unitamente alla o alle persone incaricate dal presidente per l’accertamento. Di coloro che intervengono di persona (sempre che tale incarico non venga affidato al segretario verbalizzante o al notaio).
Le clausole statutarie che prevedono la presenza del presidente e del segretario nel luogo di convocazione. (o comunque nel medesimo luogo) Devono intendersi di regola funzionali alla formazione contestuale del verbale dell’assemblea, sottoscritto sia dal presidente sia dal segretario. Esse pertanto non impediscono lo svolgimento della riunione assembleare. Con l’intervento di tutti i partecipanti mediante mezzi di telecomunicazione. Potendosi in tal caso redigere successivamente il verbale assembleare. Con la sottoscrizione del presidente e del segretario, oppure con la sottoscrizione del solo notaio in caso di verbale in forma pubblica.

È lecita quindi la clausola statutaria che prevede la possibilità. Che l’assemblea ordinaria e straordinaria di una società di capitali si svolga con intervenuti dislocati in più luoghi. Contigui o distanti. Audio/video collegati, a condizione che siano rispettati il metodo collegiale e i principi di buona fede e di parità di trattamento dei soci. In particolare, è necessario che:

1 – sia consentito al presidente dell’assemblea. Anche a mezzo del proprio ufficio di presidenza, di accertare l’identità e la legittimazione degli intervenuti. Regolare lo svolgimento dell’adunanza, constatare e proclamare i risultati della votazione;

2 – sia consentito al soggetto verbalizzante di percepire adeguatamente gli eventi assembleari oggetto di verbalizzazione;

3 – sia consentito agli intervenuti di partecipare alla discussione e alla votazione simultanea sugli argomenti all’ordine del giorno;

4 – siano indicati nell’avviso di convocazione (salvo che si tratti di assemblea totalitaria) i luoghi audio/video collegati a cura della società. Nei quali gli intervenuti potranno affluire, dovendosi ritenere svolta la riunione nel luogo ove saranno presenti il presidente e il soggetto verbalizzante.

Seguendo il link è possibile ricevere uno schema di verbale di assemblea di SrL. Per l’approvazione del bilancio di esercizio, per società senza organo di controllo.

Per ogni esigenza ed assistenza più specifica come di consueto potete liberamente utilizzare il modulo di contatto gratuito che sta riscuotendo notevole successo:

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PERCHÉ LA BANCA STRESSA

PERCHÉ LA BANCA STRESSA

La banca si allerta e dopo un poco, rende stressante il rapporto quando gli indicatori di bancabilità, segnalano la posizione prima al direttore di filiale e poi alla sede provinciale e regionale. Ma cosa sono gli

Indicatori di Bancabilità

Quando inviamo i nostri bilanci alla banca (non CEE) i suoi dipendenti copiano i dati dell’ATTIVO del PASSIVO dei COSTI e dei RICAVI, nelle apposite sezioni di un software di analisi il quale rielabora i dati e risolve alcune funzioni.

Il risultato è diviso per indici, parte di questi sono assunti anche dalle banche quali indicatori.

Infatti quei pochi utilizzati sono stati battezzati indicatori di Bancabilità perché indicano la capacità futura dell’azienda di rimborsare il Finanziamento nei loro confronti, il dato assume affidabilità perché ci si arriva tramite i Flussi Finanziari della Gestione Caratteristica.

La banca di norma utilizza due indicatori di affidabilità e capacità di rimborso. Vediamoli sommariamente nella speranza di sensibilizzare senza annoiare. Il DSCR è indice di bancabilità.

DSCR – Debt Service Coverage Ratio

È un indicatore di finanza aziendale, il quale analizzala quantità di flusso di cassa disponibile ed indica la capacità di soddisfare gli interessi annuali e il rimborso del capitale riguardo ad una determinata linea di debito; Ivi compresi i pagamenti dei fondi promessi per la partecipazione a gruppi d’impresa.

La sigla DSCR indica il Debt Service Coverage Ratio a volte indicato ADSCR quando si osserva una debitoria a breve od entro l’anno, la A sta appunto ad indicare l’Annualità di riferimento.

Grazie alla sua capacità di rilevare situazioni di crisi in anticipo proprio perché provvede ad analizzare i flussi di cassa e la capacità dell’impresa di mantenerli o migliorarli nel tempo se pur breve. Molte delle nuove attività, sono finanziate a leva finanziaria, per questo l’indice viene usato nella presentazione dei progetti.

Più il DSCR è alto più il soggetto economico è “Sicuro” ed in grado di restituire il prestito ottenuto.

Ovviamente è auspicabile che il prodotto dell’analisi sia maggiore di 1 oppure l’azienda verificata non sarà in grado di ripagare il debito.

Più il DSCR derivante dall’analisi di un determinato bilancio è oltre l’unità, maggiore sarà la solidità finanziaria della impresa rappresentata in quel bilancio.

Il secondo indice il quale a mo di paraocchi per cavalli chiude ogni visione prospettica dell’impresa ovvero le capacità dell’imprenditore. In pratica oggi i direttori non possono più fare il loro mestiere se non piegarsi a logiche matematiche e finanziarie, che nulla hanno a che vedere con il rischio dell’impresa. Sopratutto in un mercato in evoluzione come il nostro, proprio grazie ad internet e la sua globalizzazione.

LLCR – Loan Life Coverage Ratio

Il Loan Life Coverage Ratio rappresenta l’indicatore di bancabilità che di norma si utilizza durante il periodo di sussistenza del debito ed è pari al rapporto fra la somma cumulata ed eventualmente attualizzata dei flussi di cassa a servizio del debito, incrementata della riserva di cassa utilizzata per il pagamento del debito stesso. Diviso il debito residuo calcolato al momento iniziale in cui viene effettuata la valutazione.

È utilizzato per l’analisi della sostenibilità di un determinato livello di indebitamento e consente di valutarne la rischiosità ed il relativo costo. Sopratutto se l’impresa rappresenta più aperture di credito verso istituti diversi.

L’indicatore ha un’interpretazione meno immediata rispetto al DSCR, ma un valore superiore all’unità rappresenta una garanzia più efficace o meglio rispondente alle aspettative dei finanziatori.

Infatti il flusso di cassa da utilizzare nel computo non è il Flusso di cassa operativo, utilizzato per il DSCR, bensì il Flusso di cassa al servizio del debito.

Tale flusso rappresenta il totale delle risorse di cui l’azienda dispone per rimborsare la quota capitale del debito contratto e corrispondere i relativi interessi passivi. Immaginiamo quando la banca chiede rimborsi ad oras e rientri assurdi, dopo aver concesso la linea di credito nemmeno raggiunta.

Mentre voi pensate di lavorare con la banca nell’ambito dello scoperto; La banca provvede a rilevare l’indice e se il valore non è assolutamente maggiore di 1, in quanto rappresenta la capacità dell’azienda con i flussi finanziari futuri  di remunerare il debito residuo, nell’arco dell’anno, allora vi richiede il rientro immediato.

Il valore da voi utilizzato entro la soglia dell’affidamento viene attualizzato al tasso che corrisponde al costo medio ponderato del capitale (cmpc), il quale tiene conto del costo del finanziamento stesso (oneri finanziari) e della remunerazione del capitale di rischio.

Se alla banca non conviene tenere i suoi soldi nelle vostre mani a prescindere dello scoperto accordato; Bisogna rientrare subito. Va bene tutto basta che si rientri.

Per il calcolo dei 2 indicatori, è necessaria la Redazione di un Piano Finanziario più che economico, il quale sia capace di sviluppare i flussi finanziari operativi futuri dell’azienda per il periodo di durata del finanziamento stesso.

Solitamente le banche considerano gli indicatori al minimo per 1.30-1.40, mentre quello medio per 1.5.

È importante quindi darsi una spiegazione quando vediamo rifiutarci nuovi finanziamenti dalla banca.
Evidentemente l’analisi finanziaria del nostro bilancio non soddisfa quei requisiti minimi di solvibilità ed affidabilità futura, il direttore della banca, non ha più la possibilità di aiutare.
Le soluzioni sono due;
O si migliora l’esposizioni dei dati del bilancio, attraverso un’analisi più professionale nella sua formazione, una sorta di revisione finalizzata alla finanza dell’impresa, alla esatta identificazione del patrimonio netto che in banca molti confondono ancora con il netto patrimoniale.
Oppure bisognerà rinunciare al credito pubblico bancario.
Optando quindi per la prima ipotesi; Anche in considerazione che la filiera dei flussi finanziari ormai sembra definitivamente impostata sul credito, infatti il merito e la premialità per le imprese si misura sempre più con la sua capacità di indebitarsi, così come per gli stati partecipi all’europa.
Appare anche consigliabile richiedere l’analisi di valutazione del proprio bilancio come di consueto in maniera totalmente gratuita semplicemente compilando la form.

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